Alla ricerca degli Spiriti della montagna con Daniel Pittet
Génie des alpages, Petit Mont, Gruyère, Suisse, 1998
©Daniel Pittet - www.danielpittet.photography
di Paola Sammartano
La tecnica è indispensabile per una fotografia significativa: la daremo quindi per scontata. Le altre componenti, irrinunciabili, sono ricerca e creatività. Se il mix è ottimale può succedere che le immagini smuovano emozioni. Così accade per quelle di Daniel Pittet, che compongono Esprits de la Montagne. Histoire d’un autre regard (Spiriti della montagna. Storia di un altro sguardo) ((https://musee-gruerien.ch/musee-gruerien/esprits-de-la-montagne/ ), mostra che si tiene al Musée gruérien di Bulle fino al 12 gennaio 2025.
Sono immagini che racchiudono una certa idea di fotografia, per metà rappresentazione della realtà, con una certa tendenza all’iperrealismo, e per metà riflesso (speculare) di ciò che è reale. Con la particolarità di offrire a chi guarda ulteriori visioni che conducono, proprio per la forza di una simmetria artificialmente ottenuta, nel regno dell’immaginario e della fantasia. Così, osservando con uno sguardo diverso, allentando i riferimenti logici del vedere usuale, emergono (lentamente) quegli Esprits de la montagne che Daniel Pittet va cercando con costanza e attenzione dalle Alpi all’Himalaya.
Chiediamo all’autore, ingegnere-architetto e fotografo, perché fotografa. “È una passione di lunga data, nata quando avevo 16 anni, perché desideravo lasciare traccia dei pensieri, che riesco a esprimere meglio in immagini che in parole. Fotografo per documentare quello che c’è, perché mi interessano le “cose” e perché fotografare è trasmettere emozioni. Come avviene quando tratto i temi della montagna: in questo caso, le immagini si staccano dalla documentazione (anche se l’immagine riflette la realtà nel senso più letterale del termine) per introdurre a un mondo fantastico e onirico”.
Del resto, la natura, osservata in modo meno “rapido” di quanto si faccia normalmente, svela aspetti inattesi. Ha conformazioni e simmetrie (spesso lievemente imperfette) cui il nostro modo di vedere è in qualche modo abituato e alle quali quindi badiamo poco. Ma se la simmetria è specularmente perfetta, la consuetudine può incrinarsi: un’eccessiva simmetria rischia di inquietare, oltre che stupire.
Pittet ricorre alla simmetria speculare: tutti gli elementi di un lato sono ripetuti anche dall’altro di una linea immaginaria verticale. È un tipo di simmetria comune: si trova in quasi tulle le specie animali, uomo incluso, anche se mai informa perfetta (le due metà del volto umano, ad esempio, non sono esattamente sovrapponibili). E queste imperfezioni ci danno conforto. La nostra visione riconosce la simmetria, associandola a razionalità e bellezza, ma quando quella che ci aspetteremmo essere una simmetria orizzontale, ipoteticamente più adatta per un paesaggio (magari di montagne che si riflettono sull’acqua), viene ruotata per adattarsi a un asse verticale, si ha un esito più intrigante. È così che Daniel Pittet ha visto apparire il suo primo Spirito della montagna.
Susan Sontag scriveva che “mostrare qualcosa nella visione fotografica significa mostrare ciò che è nascosto”. Giocando sul doppio e sull’effetto specchio, prendono vita strane creature, che sorprendono per il loro aspetto apparentemente familiare e al tempo stesso così diverso. Sono figure che nascono da un paradosso, che conduce dall’iperrealismo all’astrazione. Lo scatto da cui Pittet parte per la sua ricerca (Genie des Alpages, realizzato nel 1998 in medio formato con una Rolleiflex) è fedele alla natura: la riprende senza distorsioni, ma poi vi insinua uno spunto quasi surrealista. Ma aggiunge: “ovviamente, c’è assoluta libertà di interpretazione, perché si tratta di un discorso poetico, composto con elementi della natura”.
L’autore, per la sua ricerca ha usato il colore, ma più spesso il bianco e nero perché, “sottolinea il fatto di trovarsi sul confine (il più sottile possibile) tra reale e immaginario. Quando ho realizzato lo scatto da cui sarebbe poi derivato Genie des alpages, ho percepito di aver trovato qualcosa che stavo cercando, senza saperlo, da decenni. Era novembre, sul ghiacciaio del Basodino, in Canton Ticino. Fissavo con attenzione la roccia, la neve, l’acqua e inquadravo “pezzi” di paesaggio. Riguardando le immagini, ne ho ruotata una: ho avuto l’impressione come di un volto che mi stesse fissando: la cosa mi affascinava. Osservando in modo più accurato, ho scoperto altre “presenze”. Il riflesso del paesaggio sull’acqua del lago e la verticalità avevano prodotto volti fantastici, simboli, forme espressive. Ho provato allora a riprodurre l’esperienza con altri paesaggi, alla ricerca di presenze nascoste. Ne è nata una ricerca appassionante, guidata dall’intuizione e dall’esplorazione di siti diversi. Le montagne (dalle Prealpi de la Gruyère alle Alpi Grigionesi, dall’Islanda all’Himalaya) hanno rivelano luci, emozioni, simbologie differenti e quelle che chiamo le famiglie di spiriti delle montagne si sono moltiplicate. A livello più razionale, la mostra è un invito a considerare con molta attenzione il mondo, a scoprirne la bellezza, a rispettare questo ambiente prezioso di cui facciamo parte”.
Info: Musée gruérien de Bulle (https://musee-gruerien.ch/ ) (https://musee-gruerien.ch/musee-gruerien/esprits-de-la-montagne/ )
Link: vai al sito
©Daniel Pittet - www.danielpittet.photography
di Paola Sammartano
La tecnica è indispensabile per una fotografia significativa: la daremo quindi per scontata. Le altre componenti, irrinunciabili, sono ricerca e creatività. Se il mix è ottimale può succedere che le immagini smuovano emozioni. Così accade per quelle di Daniel Pittet, che compongono Esprits de la Montagne. Histoire d’un autre regard (Spiriti della montagna. Storia di un altro sguardo) ((https://musee-gruerien.ch/musee-gruerien/esprits-de-la-montagne/ ), mostra che si tiene al Musée gruérien di Bulle fino al 12 gennaio 2025.
Sono immagini che racchiudono una certa idea di fotografia, per metà rappresentazione della realtà, con una certa tendenza all’iperrealismo, e per metà riflesso (speculare) di ciò che è reale. Con la particolarità di offrire a chi guarda ulteriori visioni che conducono, proprio per la forza di una simmetria artificialmente ottenuta, nel regno dell’immaginario e della fantasia. Così, osservando con uno sguardo diverso, allentando i riferimenti logici del vedere usuale, emergono (lentamente) quegli Esprits de la montagne che Daniel Pittet va cercando con costanza e attenzione dalle Alpi all’Himalaya.
Chiediamo all’autore, ingegnere-architetto e fotografo, perché fotografa. “È una passione di lunga data, nata quando avevo 16 anni, perché desideravo lasciare traccia dei pensieri, che riesco a esprimere meglio in immagini che in parole. Fotografo per documentare quello che c’è, perché mi interessano le “cose” e perché fotografare è trasmettere emozioni. Come avviene quando tratto i temi della montagna: in questo caso, le immagini si staccano dalla documentazione (anche se l’immagine riflette la realtà nel senso più letterale del termine) per introdurre a un mondo fantastico e onirico”.
Del resto, la natura, osservata in modo meno “rapido” di quanto si faccia normalmente, svela aspetti inattesi. Ha conformazioni e simmetrie (spesso lievemente imperfette) cui il nostro modo di vedere è in qualche modo abituato e alle quali quindi badiamo poco. Ma se la simmetria è specularmente perfetta, la consuetudine può incrinarsi: un’eccessiva simmetria rischia di inquietare, oltre che stupire.
Pittet ricorre alla simmetria speculare: tutti gli elementi di un lato sono ripetuti anche dall’altro di una linea immaginaria verticale. È un tipo di simmetria comune: si trova in quasi tulle le specie animali, uomo incluso, anche se mai informa perfetta (le due metà del volto umano, ad esempio, non sono esattamente sovrapponibili). E queste imperfezioni ci danno conforto. La nostra visione riconosce la simmetria, associandola a razionalità e bellezza, ma quando quella che ci aspetteremmo essere una simmetria orizzontale, ipoteticamente più adatta per un paesaggio (magari di montagne che si riflettono sull’acqua), viene ruotata per adattarsi a un asse verticale, si ha un esito più intrigante. È così che Daniel Pittet ha visto apparire il suo primo Spirito della montagna.
Susan Sontag scriveva che “mostrare qualcosa nella visione fotografica significa mostrare ciò che è nascosto”. Giocando sul doppio e sull’effetto specchio, prendono vita strane creature, che sorprendono per il loro aspetto apparentemente familiare e al tempo stesso così diverso. Sono figure che nascono da un paradosso, che conduce dall’iperrealismo all’astrazione. Lo scatto da cui Pittet parte per la sua ricerca (Genie des Alpages, realizzato nel 1998 in medio formato con una Rolleiflex) è fedele alla natura: la riprende senza distorsioni, ma poi vi insinua uno spunto quasi surrealista. Ma aggiunge: “ovviamente, c’è assoluta libertà di interpretazione, perché si tratta di un discorso poetico, composto con elementi della natura”.
L’autore, per la sua ricerca ha usato il colore, ma più spesso il bianco e nero perché, “sottolinea il fatto di trovarsi sul confine (il più sottile possibile) tra reale e immaginario. Quando ho realizzato lo scatto da cui sarebbe poi derivato Genie des alpages, ho percepito di aver trovato qualcosa che stavo cercando, senza saperlo, da decenni. Era novembre, sul ghiacciaio del Basodino, in Canton Ticino. Fissavo con attenzione la roccia, la neve, l’acqua e inquadravo “pezzi” di paesaggio. Riguardando le immagini, ne ho ruotata una: ho avuto l’impressione come di un volto che mi stesse fissando: la cosa mi affascinava. Osservando in modo più accurato, ho scoperto altre “presenze”. Il riflesso del paesaggio sull’acqua del lago e la verticalità avevano prodotto volti fantastici, simboli, forme espressive. Ho provato allora a riprodurre l’esperienza con altri paesaggi, alla ricerca di presenze nascoste. Ne è nata una ricerca appassionante, guidata dall’intuizione e dall’esplorazione di siti diversi. Le montagne (dalle Prealpi de la Gruyère alle Alpi Grigionesi, dall’Islanda all’Himalaya) hanno rivelano luci, emozioni, simbologie differenti e quelle che chiamo le famiglie di spiriti delle montagne si sono moltiplicate. A livello più razionale, la mostra è un invito a considerare con molta attenzione il mondo, a scoprirne la bellezza, a rispettare questo ambiente prezioso di cui facciamo parte”.
Info: Musée gruérien de Bulle (https://musee-gruerien.ch/ ) (https://musee-gruerien.ch/musee-gruerien/esprits-de-la-montagne/ )
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