PERCHE’ IL BANCO OTTICO E’ MEGLIO DELLO SMARTPHONE
di Guido Bartoli
Perché è grande, complicato, sa di antico?
Perché quelli che lo usano se la tirano?
Perché usa la pellicola?
No, perché è la macchina fotografica per eccellenza.
Fa una cosa sola e la fa al meglio: fotografie. Lo fa da quasi duecento anni, con la pellicola e il sensore digitale, con il foro stenopeico o l’otturatore elettronico.
Beh in realtà è vero che quelli che lo usano un po’ se la tirano, magari a sproposito…
Poi è vero che è complicato e ingombrante, ma ci si può fare (quasi) tutto fotograficamente parlando.
E’ modulare, configurabile, scalabile, come si usa dire nell’uso aziendale. Si può passare dal 10x12cm al 20x25cm e oltre, oppure collegare una fotocamera medio o piccolo formato usandola come dorso, trasformarlo in una stereocamera, fotografare in macro molto oltre il fattore 1:1, usare la pellicola o il sensore digitale, la carta o il vetro emulsionati, il collodio o la cianotipia.
In questa paginetta cercherò di far venire a chi non lo conosce, o non lo ha mai usato, la voglia di usarlo, conoscerlo e sperimentarne tutte le sue molteplici possibilità.
Però per prima cosa un’avvertenza.
La lettura di questo articolo e l’uso del banco ottico possono arrecare effetti collaterali come, ad esempio: dipendenza da grande formato, stati ossessivi compulsivi da scatto manuale, lentezza operativa con conseguente fastidio nei soggetti e negli accompagnatori del fotografo, abbandono degli altri formati fotografici, ansia da sviluppo fotochimico…
Fotografo avvisato, mezzo salvato. Andiamo quindi ad iniziare.
Il suo vero nome
Il “banco ottico” è uno strumento utilizzato nel laboratorio ottico. Serve per testare, provare, utilizzare apparecchi di ottica fine. Si compone di una rotaia graduata su cui si pongono i vari componenti come lenti, specchi, prismi, ecc.
Quello che noi fotografi chiamiamo così si chiama propriamente: “macchina fotografica a visione diretta”. Che a sua volta si divide in diverse categorie e configurazioni.
La chiamiamo banco ottico perché si basa su una rotaia su cui scorrono le “standarte”, che sono i supporti per l’obiettivo e il vetro smerigliato, dove si vede l’immagine e si inquadra.
Il corpo macchina è sempre stato e sempre sarà un soffietto, in grado di schermare la luce e lasciare la massima libertà di movimento alle standarte.
Deriva ovviamente dal “banco ottico” ma serve a fare fotografie.
Cos’ha di diverso
Rispetto alle fotocamere di medio e piccolo formato ha la possibilità di muovere e inclinare il piano dell’ottica e della pellicola fra loro, cosa impossibile con un corpo rigido, come sono appunto le varie altre fotocamere 120, 135 e, naturalmente, gli smartphone.
Per capire come sfruttare al meglio questa caratteristica e perché è così importante servono diversi articoli. E li faremo, andando sempre più nel dettaglio, seguiteci nei prossimi mesi…
Nelle fotocamere a corpo rigido l’asse ottico, l’asse centrale dell’obiettivo, passa attraverso il centro della pellicola, solo negli obiettivi decentrabili si può variare questo allineamento.
Il banco ottico invece nasce come fotocamera basata sulla possibilità di sfruttare questi movimenti. In soldoni cosa si può fare sfruttandoli?
Fotografare un palazzo dal basso, ad esempio, senza linee di fuga convergenti verso l’alto.
Oppure mettere a fuoco un piano inclinato, completamente e perfettamente, senza chiudere il diaframma; cambiare la forma del soggetto, e così via.
La prima obiezione è sempre la solita: tutto questo si può fare anche con il software.
Sbagliato! Si può IMITARE attraverso l’uso del software e, in alcuni casi, non si può proprio.
Cos’ha in più
Per prima cosa: NON TELEFONA. E’ una fotocamera e basta.
Non distrae, non ha algoritmi di IA (idiozia artificiale) che condizionano le scelte estetiche rendendo tutte le foto uguali. Non ha memoria se non nella sua versione digitale. Ma anche in questo caso, non avendo la rapidità di scatto dello smartphone, non porta a saturare gli hard disk di foto inutili, mal composte, non “pensate”.
Questa è la sua caratteristica più importante: per usarlo al meglio bisogna imparare a fotografare.
Quindi conoscere un po’ di tecnica, applicarla, decidere cosa si vuole ottenere.
Non trasporta il fotografo dove l’algoritmo decide, è il fotografo che decide cosa fare e come farlo. Se la foto è bella o brutta, dipende solo da lui; non da chi ha programmato il firmware e il software. Potete anche vederlo come uno svantaggio: non si può incolpare se non se stessi di un risultato negativo.
Ma quando lo si usa, si applicano le leggi dell’ottica e si ottiene quello che si voleva… beh la soddisfazione è massima.
Inoltre, come tutte le fotocamere e al contrario dello smartphone, ha la possibilità di variare l’apertura del diaframma e il tempo di posa, in quanto usa un obiettivo e un otturatore meccanico.
Questa caratteristica, unita ai movimenti delle standarte, permette di ottenere direttamente in ripresa effetti unici. Sembra un inutile preziosismo, in un epoca in cui il software viene considerato la panacea per tutti i lavori. Tuttavia, a parte l’uso della pellicola e restando al confronto digitale-digitale, qualsiasi operazione di variazione dell’immagine eseguita dal software modifica la matrice di pixel della fotografia. Ottenere un effetto in ripresa permette di non agire sui pixel e, quindi, anche nel campo del digitale utilizzare il banco ottico è il meglio.
E quindi…
E’ una soddisfazione utilizzarlo, e per me usato una volta ha lasciato il segno. Inoltre, per un bradipo come me, scattare con il banco ottico, entrare nel regno della slow-photography significa essere nel proprio ambiente naturale.
Tuttavia, anche nella sua versione pieghevole cioè folding, è piuttosto ingombrante e magari pesante. Portarlo appresso significa “voler fare fotografia”, non scattare per fotografare qualcosa.
Se pensate che sui social il maggior numero di foto pubblicate ha per soggetto il cibo che si mangia, beh forse è il momento di ripensare a come fare fotografia e perché.
Giusto usare lo smartphone, che è un bloc-notes, ma altra cosa è partire pensando cosa si vuole ottenere, predisporre l’attrezzatura per la ripresa, inquadrare, scattare UNA foto e non una serie tanto per poi scegliere. La fotografia diventa un atto “pensato”, non casuale; inquadrare significa escludere, quindi scegliere, non fare click.
Anche con lo smartphone si può fare bella fotografia o fare arte, ma solo con il banco ottico si è completamente padroni delle leggi dell’ottica, si è in grado di modificare l’immagine del soggetto direttamente in ripresa, non a posteriori. Ogni scelta produce un effetto specifico e va meditata.
Non si scatta pensando che tanto in post-produzione poi tutto si aggiusta, si scatta la foto quando si è sicuri che è quello che si vuole.
Insomma è come fare un quadro, che richiede perizia e tempo.
Perché è grande, complicato, sa di antico?
Perché quelli che lo usano se la tirano?
Perché usa la pellicola?
No, perché è la macchina fotografica per eccellenza.
Fa una cosa sola e la fa al meglio: fotografie. Lo fa da quasi duecento anni, con la pellicola e il sensore digitale, con il foro stenopeico o l’otturatore elettronico.
Beh in realtà è vero che quelli che lo usano un po’ se la tirano, magari a sproposito…
Poi è vero che è complicato e ingombrante, ma ci si può fare (quasi) tutto fotograficamente parlando.
E’ modulare, configurabile, scalabile, come si usa dire nell’uso aziendale. Si può passare dal 10x12cm al 20x25cm e oltre, oppure collegare una fotocamera medio o piccolo formato usandola come dorso, trasformarlo in una stereocamera, fotografare in macro molto oltre il fattore 1:1, usare la pellicola o il sensore digitale, la carta o il vetro emulsionati, il collodio o la cianotipia.
In questa paginetta cercherò di far venire a chi non lo conosce, o non lo ha mai usato, la voglia di usarlo, conoscerlo e sperimentarne tutte le sue molteplici possibilità.
Però per prima cosa un’avvertenza.
La lettura di questo articolo e l’uso del banco ottico possono arrecare effetti collaterali come, ad esempio: dipendenza da grande formato, stati ossessivi compulsivi da scatto manuale, lentezza operativa con conseguente fastidio nei soggetti e negli accompagnatori del fotografo, abbandono degli altri formati fotografici, ansia da sviluppo fotochimico…
Fotografo avvisato, mezzo salvato. Andiamo quindi ad iniziare.
Il suo vero nome
Il “banco ottico” è uno strumento utilizzato nel laboratorio ottico. Serve per testare, provare, utilizzare apparecchi di ottica fine. Si compone di una rotaia graduata su cui si pongono i vari componenti come lenti, specchi, prismi, ecc.
Quello che noi fotografi chiamiamo così si chiama propriamente: “macchina fotografica a visione diretta”. Che a sua volta si divide in diverse categorie e configurazioni.
La chiamiamo banco ottico perché si basa su una rotaia su cui scorrono le “standarte”, che sono i supporti per l’obiettivo e il vetro smerigliato, dove si vede l’immagine e si inquadra.
Il corpo macchina è sempre stato e sempre sarà un soffietto, in grado di schermare la luce e lasciare la massima libertà di movimento alle standarte.
Deriva ovviamente dal “banco ottico” ma serve a fare fotografie.
Cos’ha di diverso
Rispetto alle fotocamere di medio e piccolo formato ha la possibilità di muovere e inclinare il piano dell’ottica e della pellicola fra loro, cosa impossibile con un corpo rigido, come sono appunto le varie altre fotocamere 120, 135 e, naturalmente, gli smartphone.
Per capire come sfruttare al meglio questa caratteristica e perché è così importante servono diversi articoli. E li faremo, andando sempre più nel dettaglio, seguiteci nei prossimi mesi…
Nelle fotocamere a corpo rigido l’asse ottico, l’asse centrale dell’obiettivo, passa attraverso il centro della pellicola, solo negli obiettivi decentrabili si può variare questo allineamento.
Il banco ottico invece nasce come fotocamera basata sulla possibilità di sfruttare questi movimenti. In soldoni cosa si può fare sfruttandoli?
Fotografare un palazzo dal basso, ad esempio, senza linee di fuga convergenti verso l’alto.
Oppure mettere a fuoco un piano inclinato, completamente e perfettamente, senza chiudere il diaframma; cambiare la forma del soggetto, e così via.
La prima obiezione è sempre la solita: tutto questo si può fare anche con il software.
Sbagliato! Si può IMITARE attraverso l’uso del software e, in alcuni casi, non si può proprio.
Cos’ha in più
Per prima cosa: NON TELEFONA. E’ una fotocamera e basta.
Non distrae, non ha algoritmi di IA (idiozia artificiale) che condizionano le scelte estetiche rendendo tutte le foto uguali. Non ha memoria se non nella sua versione digitale. Ma anche in questo caso, non avendo la rapidità di scatto dello smartphone, non porta a saturare gli hard disk di foto inutili, mal composte, non “pensate”.
Questa è la sua caratteristica più importante: per usarlo al meglio bisogna imparare a fotografare.
Quindi conoscere un po’ di tecnica, applicarla, decidere cosa si vuole ottenere.
Non trasporta il fotografo dove l’algoritmo decide, è il fotografo che decide cosa fare e come farlo. Se la foto è bella o brutta, dipende solo da lui; non da chi ha programmato il firmware e il software. Potete anche vederlo come uno svantaggio: non si può incolpare se non se stessi di un risultato negativo.
Ma quando lo si usa, si applicano le leggi dell’ottica e si ottiene quello che si voleva… beh la soddisfazione è massima.
Inoltre, come tutte le fotocamere e al contrario dello smartphone, ha la possibilità di variare l’apertura del diaframma e il tempo di posa, in quanto usa un obiettivo e un otturatore meccanico.
Questa caratteristica, unita ai movimenti delle standarte, permette di ottenere direttamente in ripresa effetti unici. Sembra un inutile preziosismo, in un epoca in cui il software viene considerato la panacea per tutti i lavori. Tuttavia, a parte l’uso della pellicola e restando al confronto digitale-digitale, qualsiasi operazione di variazione dell’immagine eseguita dal software modifica la matrice di pixel della fotografia. Ottenere un effetto in ripresa permette di non agire sui pixel e, quindi, anche nel campo del digitale utilizzare il banco ottico è il meglio.
E quindi…
E’ una soddisfazione utilizzarlo, e per me usato una volta ha lasciato il segno. Inoltre, per un bradipo come me, scattare con il banco ottico, entrare nel regno della slow-photography significa essere nel proprio ambiente naturale.
Tuttavia, anche nella sua versione pieghevole cioè folding, è piuttosto ingombrante e magari pesante. Portarlo appresso significa “voler fare fotografia”, non scattare per fotografare qualcosa.
Se pensate che sui social il maggior numero di foto pubblicate ha per soggetto il cibo che si mangia, beh forse è il momento di ripensare a come fare fotografia e perché.
Giusto usare lo smartphone, che è un bloc-notes, ma altra cosa è partire pensando cosa si vuole ottenere, predisporre l’attrezzatura per la ripresa, inquadrare, scattare UNA foto e non una serie tanto per poi scegliere. La fotografia diventa un atto “pensato”, non casuale; inquadrare significa escludere, quindi scegliere, non fare click.
Anche con lo smartphone si può fare bella fotografia o fare arte, ma solo con il banco ottico si è completamente padroni delle leggi dell’ottica, si è in grado di modificare l’immagine del soggetto direttamente in ripresa, non a posteriori. Ogni scelta produce un effetto specifico e va meditata.
Non si scatta pensando che tanto in post-produzione poi tutto si aggiusta, si scatta la foto quando si è sicuri che è quello che si vuole.
Insomma è come fare un quadro, che richiede perizia e tempo.