EXPERIENCE

A FUOCO! A FUOCO!

a cura di Guido Bartoli

Calma, non chiamate il 115, non procurate falsi allarmi.
Dobbiamo “mettere a fuoco”, in senso figurato.

Cioè rendere nitida la nostra immagine?
NO!
Attenzione, attenzione, tutti pensano che “mettere a fuoco” significhi “rendere nitido”. Nulla di più “fuori fuoco” in senso metaforico.
Da una parte e dall’altra di un obiettivo c’è sempre tutto, ed è tutto a fuoco.

Va beh, direte voi, Bartoli è impazzito o ha voglia di uccellarci (termine italiano arcaico per “prendere in giro”, usato anche dal Boccaccio).
No, non mi permetterei mai di uccellare i miei lettori, quindi andiamo a incominciare…

Mettere a fuoco significa SCEGLIERE.
Dobbiamo scegliere quale piano è il preponderante nell’estetica della nostra fotografia.
Fotografare, come vedremo, è sempre una questione di “scegliere” ed lì che sta il bello. Usando lo smartphone facciamo solo click, al più guardiamo distrattamente il display, magari poco visibile con la luce ambiente… (vedere l'experience: Perché il banco ottico è meglio dello smartphone)
Utilizzando il Banco abbiamo la massima libertà di scelta in tutti i sensi, come vedremo: nel controllo della messa a fuoco e della forma del soggetto.

Si diceva nella scorsa puntata che l’obiettivo è il “centro del mondo” e che si mette a fuoco spostando la standarta con il vetro smerigliato avanti e indietro (vedere l'experience: Il centro del mondo).
Vero, ma realmente cosa si fa’, così facendo?
Si intercetta su un piano l’onda luminosa in uscita da una parte dell’obiettivo, la quale onda è quella che è entrata dall’altra parte ed è stata dall’obiettivo stesso modificata nel suo percorso e nella sua forma.
Detto in altro modo, cioè utilizzando la costruzione dell’ottica geometrica: il fascio di raggi di luce che entra da una parte dell’ottica esce dall’altra con una traiettoria modificata dalla struttura dell’obiettivo stesso.
Il fascio luminoso in uscita porta con se l’informazione relativa a tutti i punti della realtà che sta dall’altra parte e che noi fotografi chiamiamo “soggetto”.
Noi arbitrariamente chiamiamo “davanti” all’obiettivo la parte di realtà che vogliamo fotografare e chiamiamo “dietro” all’obiettivo dove mettiamo la pellicola o il sensore per registrare la foto.
Basta mettere la pellicola o il sensore dall’altra parte dell’obiettivo e tutto funziona perfettamente lo stesso: l’obiettivo è ambivalente, forma sempre un’immagine da entrambe le parti.
E’ la luce bellezza… e tu non ci puoi fare nulla!

Provate a fare questo esercizio, un classico da manuale di ottica: puntate l’obiettivo verso il sole e ponete un foglio di carta dall’altra parte.
Vedrete che l’immagine della luce passa attraverso l’obiettivo e viene raccolta sul foglio di carta. Se muovete avanti e indietro il foglio di carta raggiungete una distanza dall’obiettivo in cui la luce del sole è un circoletto molto luminoso e piccolo sul foglio di carta. Si dice che l’immagine “è a fuoco”.
Se girate l’obiettivo il tutto funziona allo stesso modo.

Applichiamo ciò alla fotografia di un oggetto tridimensionale, che è costituito da infiniti punti che emettono luce, come il sole.
“Mettere a fuoco” significa: porre il vetro smerigliato (o pellicola o sensore) nel punto preciso dove voglio riprodotti a fuoco determinati punti del soggetto. Questi punti saranno ovviamente tutti sullo stesso piano perpendicolare all’asse ottico.
Tutto il resto sarà sfocato, davanti e dietro al piano del soggetto messo a fuoco.
Spostando la standarta posteriore si seleziona un altro piano a fuoco e quello di prima andrà fuori fuoco. Lo si vede molto bene sul vetro smerigliato.
E qui sta la forza del Banco, ma andiamo per gradi.
Muovendo avanti e indietro il vetro smerigliato si intercetta sempre tutta l’immagine, ma andranno a fuoco SOLO i punti che stanno alla “distanza coniugata” messa a fuoco. Solo quelli, tutto il resto sarà progressivamente fuori fuoco man mano ci si allontana dal piano messo a fuoco.
Le “distanze coniugate” sono le due distanze “davanti” e “dietro” all’obiettivo che rappresentano rispettivamente: la distanza dal punto del soggetto al centro ottico e la distanza dal centro ottico al punto a fuoco. Sono inversamente proporzionali.
Cioè, se ho un obiettivo con lunghezza focale 200mm e metto il vetro smerigliato a 200mm dal centro ottico: raccolgo a fuoco i punti del soggetto all’infinito.
Se sposto fra 200mm e 400mm: metto a fuoco dall’infinito progressivamente sempre più vicino.
Se metto il vetro a 400mm: raccolgo a fuoco i punti del soggetto che stanno a 400mm davanti all’obiettivo. L’immagine ha la stessa dimensione del soggetto: il rapporto è 1:1.
Se aumento oltre 400mm: vado in macro oltre il rapporto 1:1. (Il soggetto a fuoco sarà fra 200mm e 400mm e l’immagine a più di 400mm).

Ma questo lo potete fare facilmente con una fotocamera che non sia il banco ottico?
NO!
L’elicoide di messa a fuoco delle fotocamere a corpo rigido e delle folding ha un limite di estensione, oltre il quale vi servono obiettivi macro, lenti addizionali, tubi di prolunga, soffietti macro, aggeggi in più…
Il banco ottico non ha limiti, in quanto l’obiettivo è fermo nella posizione scelta per inquadrare, mentre il piano del vetro smerigliato/pellicola/sensore si sposta a piacere.
Basta una semplice rotaia di prolunga, il resto è già tutto a disposizione per fare quello che volete.
Il Banco è superdotato!
Honni soit qui mal y pense!

Ecco una regola base dell’ottica che dobbiamo sempre tenere a mente:
UN OBIETTIVO PUO’ METTERE A FUOCO UN SOLO PIANO DEL SOGGETTO
Tutti i punti che giacciono sugli altri piani saranno fuori fuoco.
Ma… quanto è spesso questo piano?
Semplice: per la geometria ottica un piano ha solo due dimensioni, la terza non c’è.
Quindi meno di un foglio di carta.

Qui entra in gioco il concetto di “nitidezza”, molto diverso da quello di “a fuoco”.
Si considera lo spessore del piano a fuoco come quello che appare nitido all’occhio umano. Provare per credere: con il diaframma tutto aperto inquadrate un soggetto in macro, come un fiore in prospettiva; vedrete a fuoco un sottile piano che lo attraversa.
Bene, ma se due punti del mio soggetto stanno davanti all’obiettivo ma a distanze diverse?
E se li voglio tutti due accettabilmente nitidi?
Beh se sposto il vetro fino a che uno è nitido… l’altro è fuori fuoco di brutto e viceversa.
Che si fa? Si accetta un compromesso.
Si mette il vetro smerigliato in modo che sia a fuoco un punto del soggetto intermedio fra i due.
Poi SI CHIUDE IL DIAFRAMMA.
Ecco cosa significa rendere più o meno NITIDA l’immagine: non “mettere a fuoco”, ma “chiudere il diaframma” e usare la “profondità di campo a fuoco” (abbreviata in “profondità di campo” o PDC; in Inglese “Depth of Field” DOF).
Si sfrutta il fatto che l’occhio vede nitidi punti luminosi molto piccoli, considerandoli tutti uguali per approssimazione.
Dove mettere a fuoco fra i due punti e quanto chiudere il diaframma ce lo dice la formula della profondità di campo e dipende da tanti fattori: lunghezza focale, distanza di ripresa, fattore di ingrandimento dell’immagine. Ma questo è un altro articolo…

Ricordate:
MUOVENDO LA STANDARTA POSTERIORE SI SCEGLIE IL PIANO DEL SOGGETTO DA METTERE A FUOCO
CHIUDENDO O APRENDO IL DIAFRAMMA SI RENDE PIU’ O MENO NITIDA L’IMMAGINE

Ma il Banco ci offre di più… stay tuned!

Buona luce a tutti!

NON PUNTATE MAI UN OBIETTIVO VERSO IL SOLE E UNA FONTE DI LUCE GUARDANDOCI ATTRAVERSO (VALE PER LE FOTOCAMERE E SOPRATTUTTO PER I TELESCOPI)
NON DIRIGETE MAI UN LASER VERSO GLI OCCHI DI UOMINI O ANIMALI
STATE SEMPRE DI LATO E MAI LUNGO IL RAGGIO DI LUCE
NON GUARDATE MAI LA LUCE DEL LASER O DI UNA TORCIA ATTRAVERSO L’OBIETTIVO
E’ MOLTO MOLTO PERICOLOSO E SI RISCHIA DI PERDERE LA VISTA